L’anziana signora con in mano la foto di Giovanni Falcone, come quella di un figlio, probabilmente non c’è più. E non c’è più neppure lo storico capo del Pool Antimafia di Palermo, Antonino Caponnetto, lo stesso che – superata l’angoscia che gli aveva fatto dire “E’ finito tutto…”, subito dopo la strage di via D’Amelio – ripensava a Falcone e Borsellino con queste parole: “Erano arrivati a un punto della loro missione in cui soltanto la loro morte poteva determinare una svolta nella vita nazionale. E così è stato”. Immagini, volti, parole di milletrecentosessantasette ore: i cinquantasette giorni che separano la morte di Giovanni Falcone e quella di Paolo Borsellino, tra il 23 maggio e il 19 luglio del 1992. “1367 – La tela strappata” è il documentario realizzato da Giancarlo Licata con le immagini delle Teche Rai tratte dai Tg di quel periodo e rimontate dal Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo che Rai3 propone giovedì 19 luglio alle 18.00. La replica, su Rai Storia, alle 23.15.
Un racconto, nel ventesimo anniversario delle stragi, fatto solo di cronaca: le immagini girate dagli operatori Rai, i servizi degli inviati, le edizioni straordinarie, le parole della politica, ma anche quelle della gente, del risveglio e della reazione sociale di una coscienza antimafia.
Ad aprire il documentario – scandito dal passare delle ore – le immagini della vedova dell’agente di scorta Vito Schifani, Rosaria, in quella chiesa di san Domenico a Palermo che aveva accolto i politici al funerale di Giovanni Falcone sommergendoli di fischi. Il suo grido singhiozzato ai mafiosi “Io vi perdono, ma voi vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare”.
Poi, il fluire degli eventi e del racconto riprende da quella bomba sotto l’autostrada Palermo – Punta Raisi: la morte di Falcone, della moglie Francesca, degli agenti della scorta. Una strage, come tante altre in Sicilia ricordate dal documentario. E’ una notizia che segna profondamente il Paese. Lo dicono le parole della politica, da Craxi a Spadolini, da De Mita a Occhetto, da Martelli a Scalfaro, nuovo Capo dello Stato. Ne parla anche Giovanni Paolo II. Ma, soprattutto, reagisce la gente e, prima di tutto, quella di Palermo: l’albero Falcone davanti alla sua casa, le lenzuola ai balconi, la catena umana, fino alla manifestazione antimafia “Italia parte civile”, organizzata dai sindacati e che porta a Palermo, a fine giugno, centomila persone da tutta Italia, come raccontano gli accenti diversi di tanti intervistati.
Ma la stessa cronaca racconta anche le polemiche di quel tempo, l’amarezza di Falcone per i veleni e le incomprensioni nella sua lotta antimafia, la carriera “fermata”. E le ore, intanto, corrono verso via d’Amelio, verso Paolo Borsellino che, ricordando l’amico e collega, parlava dei “Giuda” intorno a lui e lasciava nel suo intervento pubblico alla Biblioteca Comunale di Palermo, il proprio testamento morale. Perchè lui è nel mirino della mafia. Ma nessuno fa nulla. Nelle carceri c’è chi dice “E’ murì Bursellinu” (deve morire Borsellino), ci sono boss, informatori e gli stessi Ros dei Carabinieri che parlano di attentati possibili. Ma le loro informative, da Roma, arriveranno a Palermo cinque giorni dopo la morte del magistrato.