Questa è l’unica conseguenza certa e chiara della sentenza del Consiglio di Stato depositata in cancelleria venerdì pomeriggio nella causa intentata da Sky contro l’authority per le comunicazioni. L’emittente di Murdoch contestava l’assegnazione ai suoi canali in chiaro, Cielo e Cielo 2, di posizioni sul telecomando lontane da quelle delle reti «generaliste» di prima fascia, e accusava l’Agcom di comportamenti discriminatori. Una prima sentenza del Tar del Lazio aveva dato già parzialmente ragione a Sky, ed era stata impugnata dall’autority e da alcune delle emittenti che Sky puntava a sloggiare dalla top ten della numerazione.Con la sentenza definitiva del Consiglio di Stato, la filosofia del piano di numerazione (il cosiddetto Lcn) viene ritenuta accettabile: Sky non è stata discriminata, in quanto essendo i canali Cielo «nativi digitali», essendo nati cioè dopo l’avvento del digitale terrestre, non possono vantare gli stessi diritti dei vecchi canali analogici. Ma il piano Lcn viene comunque annullato per motivi, per così dire, di procedura: la sua approvazione è avvenuta per via d’urgenza, senza concedere alle reti interessate i tempi previsti dalla legge per fare valere le proprie ragioni. Quello che rischia di aprirsi, insomma, è un periodo di caos sui telecomandi degli italiani.
A Cielo il piano assegnava i canali 26 e 131, mentre nel suo ricorso Sky chiedeva che le venissero attribuiti canali dello stesso «blocco» delle reti Rai e Mediaset, e comunque non oltre le posizioni 10 e 11. Secondo la sentenza emessa dalla terza sezione del Consiglio di Stato (presidente Lignani, estensore Spiezia) si tratta di una pretesa non fondata. Per assegnare i canali, infatti, l’Agcom doveva tenere conto di una serie di criteri, a partire dalla «garanzia di semplicità d’uso del sistema di ordinamento automatico dei canali» e dal «rispetto delle abitudini e preferenze degli utenti con particolare riferimento ai canali generalisti nazionali ed alle emittenti locali», certificati da un sondaggio Demoskopea. E tra le abitudini degli italiani non possono essere certo ricompresi canali nati nel 2009, dopo l’inizio del passaggio al digitale. Ma dove casca l’intero piano è sul rispetto dei tempi delle consultazioni, che l’Agcom dimezzò da 30 a 15 giorni: «Né appare invocabile l’urgenza di provvedere perché il problema della caotica situazione, connessa alla variazione della numerazione dei canali attuata convenzionalmente dalle emittenti, si era profilata fin dal 2008 (con l’avvio della irradiazione del segnale digitale in Sardegna) e, quindi, non era emerso all’improvviso».