Ad avviso della Corte, la circostanza che il gestore non avesse pubblicizzato l’appuntamento sportivo, lo manda indenne da responsabilità penale, per violazione delle norme a tutela del copyright dei diritti tv, perché è assente la finalità del lucro. «Non vi è trasmissione delle immagini televisive – spiegano i giudici – nella mera condotta di chi associa a se stesso altre persone nella fruizione dello spettacolo televisivo, a prescindere dalla liceità o meno di ciò sul piano contrattuale e quindi civilistico; ciò che si verifica di norma quando manca il fine di lucro».
Nel caso in questione, aggiunge la Cassazione, «la diffusione in un pub di un evento sportivo trasmesso dalla rete televisiva con accesso condizionato non risultava essere funzionale a far confluire nel locale un maggior numero di persone attratte dalla possibilità di seguire l’evento sportivo gratuitamente». E questo perché, come risultava dalla sentenza della Corte d’appello che peraltro aveva invece condannato (verdetto annullato dalla Cassazione senza rinvio) il gestore a 4 mesi di reclusione e a 1.800 euro di multa, non era stata pubblicizzata la diffusione nel pub della partita.
La Cassazione sottolinea anche che al momento dell’accertamento della condotta contestata all’imputato erano presenti nel pub pochissimi avventori ai quali nessun sovrapprezzo era stato richiesto per la possibilità di seguire l’evento calcistico trasmesso dall’emittente televisiva. La sentenza comunque ricorda anche che resta reato la diffusione del programma criptato, al di fuori delle modalità consentite dal contratto di stipula, in tutti i casi in cui è invece presente la finalità di trarvi un guadagno.