Di seguito il comunicato stampa di Mediaset relativo all’assegnazione dei diritti tv della Serie A.
Inutile far finta di non capire: assegnare a un unico operatore pay le 248 partite delle otto squadre di Serie A che da sole rappresentano oltre l’86% dei telespettatori tifosi italiani è esattamente quello che la Legge, le autorità regolamentari e la stessa Lega Calcio Serie A hanno sempre voluto impedire a difesa dei consumatori e della concorrenza.
Non a caso, il bando d’asta per l’assegnazione dei diritti 2015-2018 è stato formulato nel modo più chiaro possibile. L’offerta per le partite delle otto squadre con il maggior seguito è stata opportunamente “duplicata”: un pacchetto al satellite (definito “A”) e un pacchetto identico al digitale terrestre (definito “B”).
La domanda quindi è elementare: perché esiste il pacchetto “B”? Perché se lo assicuri chi ha già conquistato il pacchetto “A”? Esattamente il contrario, perché devono essere operatori diversi a competere sui due pacchetti. Questo è evidente nel bando formulato seguendo alla lettera sia la Legge Melandri che regola la materia sia le raccomandazioni dell’Autorità Antitrust relative alle Linee Guida allegate al bando per la sua esatta interpretazione.
Il bando, tuttavia, non si limita a garantire equilibrio tra diverse piattaforme e operatori in concorrenza. Introduce anche un pacchetto in esclusiva assoluta: è il pacchetto definito “D” che mette in palio le rimanenti 132 partite di Serie A su cui tutti gli operatori possono competere liberamente.
Questi i fatti. Tanto che Mediaset ha presentato le proprie offerte rispettando scrupolosamente le regole e mai ha espresso la richiesta congiunta dei pacchetti A e B. A confondere le carte e a impedire che oggi la Lega Serie A potesse assegnare i diritti con serenità è stata la scelta dell’operatore satellitare di offrire non solo per il satellite ma di puntare irregolarmente anche sul pacchetto “B” riservato al digitale terrestre. Infatti sul digitale terrestre il monopolista satellitare ha un vincolo istituzionale chiarissimo: chi opera in regime di monopolio pay sul satellite e detiene circa il 78% del mercato complessivo della pay tv italiana non può rafforzare ulteriormente la propria posizione dominante.
Lo ha riaffermato recentemente Agcom nel regolamento di gara per l’assegnazione di nuove frequenze digitali terrestri che ha permesso la partecipazione all’operatore
satellitare per un multiplex solo a condizione che per tre anni non lo utilizzasse per offerte a pagamento.
Non si capisce quindi perché un’attività espressamente vietata dallo Stato dovrebbe diventare improvvisamente lecita. Un’esclusiva sul contenuto pay più pregiato in assoluto annullerebbe ogni concorrenza dalla pay tv italiana a danno del calcio e soprattutto dei consumatori che non avrebbero più alcuna possibilità di scelta né editoriale né di prezzo.
E’ evidente che se, grazie a campagne di disinformazione e a intimidazioni dei Club italiani a suon di diffide, un operatore di pay tv dovesse riuscire a stravolgere le regole e ottenere il monopolio delle squadre più allettanti, nessun altro concorrente potrebbe continuare a esercitare l’attività pay in Italia.