«La vicenda di El Alamein mette in luce la parte infelice che ebbe l’Italia nella II Guerra Mondiale: osteggiata dai nemici – ma anche trascurata, abbandonata, non valorizzata, dagli Alleati – era una pedina portata al macello nello scacchiere nazista.». «Gli italiani, una volta entrati in guerra, fecero subito delle gran brutte figure – spiega Paolo Mieli – e questo capovolse i rapporti con Hitler. Il Führer, adesso disprezzava Mussolini e quello che gli aveva raccontato: che aveva reso pronto alla guerra il Paese, mentre non lo era.».
«L’anno tra 1916 e il 1917, invece, fu l’anno in cui nacque davvero l’Italia. In quegli altipiani, in quelle trincee, nell’insofferenza dei soldati verso gli stati maggiori, nacque il popolo italiano. Fu un modo stralegittimo per ribaltare degli ordini davvero insensati. Generali e ufficiali combattevano la I Guerra mondiale come avevano combattuto le grandi battaglie del dopo Risorgimento: in un modo veramente arcaico, che confidava che le castagne dal fuoco le avrebbero tolte gli eserciti alleati.».
Ultimo appuntamento con Paolo Mieli per la retrospettiva di Iris dedicata al racconto delle atrocità della guerra “Se questo è un uomo”. Domani, 24 aprile, in prima e seconda serata, è la volta “El Alamein-La linea del fuoco” e di “Uomini contro”. Enzo Monteleone racconta l’eroica pagina dei soldati italiani sul fronte Nordafricano, dirigendo Pierfrancesco Favino, Emilio Solfrizzi e Silvio Orlando. L’opera si aggiudica tre David di Donatello (Fotografia, Montaggio, Suono). A seguire è di scena il film del maestro Francesco Rosi, ispirato al romanzo di Emilio Lusso “Un anno sull’Altipiano”, la cui sceneggiatura vanta le firme di Tonino Guerra e Raffaele La Capria. Nel cast, su tutti, Gian Maria Volonté.
«Nel Dopoguerra, nel nostro Paese è rimasto, anche tra i fascisti e i monarchici, un risentimento contro i tedeschi forte quasi come quello dei partigiani: i tedeschi erano coloro i quali portavano su di sé la responsabilità di aver sfasciato il nostro Paese. Forse sono tesi auto indulgenti – prosegue Mieli – ma in questo sentimento di essere stati trattati male oltre misura, qualcosa di vero c’è.».
«L’Italia aveva una brutta fama sul piano militare: dal punto di vista politico, non concludeva mai una guerra sul versante su cui l’aveva iniziata e se gli capitava di terminarne una sul versante giusto era perché aveva cambiato fronte due volte. Gli ufficiali erano astratti e comandavano la truppa senza passione e amicizia verso i loro sottoposti, che spesso venivano mandati al massacro per delle rivalità tra generali. In quelle trincee raccontate da “Uomini contro” – conclude Mieli – è nato il futuro cittadino che avrebbe fondato, non solo il popolo italiano, ma anche un nuovo rapporto con le gerarchie: un rapporto che sottolineava che, quando occorre, ribellarsi è giusto.».