Il tema dell’emergenza rifiuti, che ha devastato negli ultimi decenni la vita degli abitanti di Napoli e l’immagine della città nel mondo intero, in un docufilm di Nevio Casadio che Rai Educational propone sabato 24 novembre su Rai Storia.
Il racconto appassionato di lavoratori, cittadini riuniti in associazioni, comitati e gruppi artistici, impegnati nella salvaguardia ambientale, la crescita civile e la legalità di Napoli e della sua collettività.
Nel 1948 Michelangelo Antonioni realizzò un documentario di 12 minuti dal titolo “N.U. – Nettezza Urbana”, raccontando la giornata delle persone che dovevano tenere pulita la loro città, Roma. Ad Antonioni, in quel suo sguardo anticonvenzionale ed innovativo per l’epoca, non interessavano le bellezze millenarie della Città Eterna, quanto le vite della povera gente e dei netturbini. Antonioni seguì la vita degli spazzini nel corso del loro lavoro quotidiano, in un’alternanza di associazioni libere e allusive, riuscendo a ritrovare magistralmente il rapporto che lega il lavoro con l’ambiente urbano.
A quel documentario si ispira “N. U. – Nettezza Urbana. Piovono fiori su Napoli e Scampia”, un docufilm di 60 minuti, firmato da Nevio Casadio, che Rai Educational presenta sabato 24 novembre alla 23.00 su Rai Storia-Digitale terrestre e TivùSat.
In questo lavoro, proposto nell’ambito di Res, l’autore, pur confrontandosi con “l’emergenza rifiuti” che ha devastato negli ultimi decenni la vita degli abitanti di Napoli e l’immagine di questa città nel mondo intero, attraverso la diffusione di una realtà dalle dimensioni tragiche e avvilenti, rivolge il proprio sguardo su realtà sommerse e sconosciute ai più.
Ad oggi, nel contesto narrativo dell’emergenza rifiuti, risulta assente il racconto dei lavoratori che vivono quotidianamente il fenomeno nell’ambito delle proprie giornate di lavoro. Così come risulta estraneo il racconto dei cittadini riuniti in associazioni, comitati, movimenti, gruppi artistici, quotidianamente impegnati a favore della salvaguardia ambientale e, in definitiva, della crescita civile, della legalità di Napoli e della sua collettività.
In “N. U. – Nettezza Urbana. Piovono fiori su Napoli e Scampia”, Nevio Casadio orienta le telecamere su questa Napoli che agisce appartata, in un impegno nascosto eppure vitale votato alla speranza e a favore della dignità.
Si intersecano qui i racconti di persone impegnate nella quotidianità mettendo a disposizione dedizione, impegno civile e talenti, in una fusione di storie, suoni, immagini e parole.
Massimo Vanacore, operatore ecologico, autista di camion per la raccolta dell’immondizia dalle strade, rievoca le notti delle proteste e gli assalti subiti a bordo degli autocompattatori della Nettezza Urbana, in quelle aggressioni tumultuose ad opera di una popolazione esasperata che non tollerava più lo sversamento dell’immondizia nelle discariche a cielo aperto, fonti di disagi e malattie. “La popolazione aveva ragione, ma noi semplicemente siamo esecutori di ordine. A noi ordinano di andare là e là devi andare.”
Ai racconti del netturbino e dei suoi colleghi nella raccolta di rifiuti notturna tra le strade di Napoli e alle denunce di amministratori e istituzioni (“Il fenomeno delle ecomafie, che è un fenomeno terribile, è un lento distillato di fiele nelle vene dell’Italia, nessuno se n’è accorto ancora, ma questo sta succedendo” spiega Raffaele Del Giudice, l’attuale Presidente dell’Azienda municipalizzata dei servizi di igiene ambientale napoletana, un tempo dirigente di Legambiente), seguono le parole e i suoni di Luca Caiazzo, giovane musicista napoletano, in arte “Lucariello”. “Siamo stati sepolti dall’immondizia fin oltre la testa, ma a Napoli regna la speranza, costruita giorno dopo giorno, da cittadini di tutte le età, soprattutto ragazzi, impegnati in una miriade di associazioni a favore della dignità”. Le testimonianze di Lucariello si alternano con i suoni della canzone di cui è autore “Munaciello d’o teatro”. Il brano tratto dall’album “I nuovi mille” racconta la Napoli libera dagli stereotipi e dai mali che la affliggono, evocando la favola di un fantasmino della tradizione partenopea che vive in un teatro: un bambino vestito da “munaciello” stanco di far paura e desideroso di uscir fuori da quelle spesse mura.
Il desiderio è quello di riscatto e di libertà, la stessa di un’intera città, stanca di esser citata per la sua cattiva fama. Un esperimento di musica classica e rap condotto da Luca Caiazzo nella cornice del più bello e antico teatro lirico d’Europa, il San Carlo di Napoli.
Ai suoni di Lucariello seguono le storie di Patrizia Coraggio, insegnante, e di Vincenzo Martelli, netturbino, entrambi impegnati nell’associazione Volontari per Napoli. Con le mani nude hanno appena bonificato una discarica abusiva colma di siringhe, rifiuti, macerie, stracci e copertoni, recuperando uno spazio per accogliere i giochi dei bambini e le famiglie. Qui oggi c’è un prato con l’erba che cresce, con alberi e fiori, panchine e altalene e, questo spazio sottratto al degrado, l’hanno chiamato il Giardino di Melissa.
Ancora suoni a favore dell’ambiente. Maurizio Capone è nato con la passione della musica. Fin da bambino inseguiva il suo sogno. I soldi per comprare uno strumento per suonare, in casa non c’erano e il piccolo Maurizio decise di costruirseli da sé con gli oggetti recuperati dall’immondizia. Nel segno di un recupero di materiali improbabili, barattoli trasformati in tamburi, scope divenute chitarre.
Fondatore della band “Capone & BungtBangt”, Maurizio è un “combattente” dell’anti-usa-e-getta. “L’umanità – afferma – ha sempre riciclato, anzi, più che il riciclo, io sostengo il riuso… Prima ancora di riciclare, quindi di fare entrare comunque un prodotto o un oggetto nel circuito industriale, per farlo ritornare ad essere qualcosa di interessante e di valido, io penso si possa riusare, quindi neanche mandarlo nella spazzatura, nella pattumiera, ma usarlo, riusarlo, e questo ce lo hanno insegnato i nonni, magari i bisnonni di tanti che ci stanno vedendo… Se noi abbiamo tanta spazzatura è perché se ne produce tanta. Probabilmente non c’è bisogno di produrne tanta…”
Le Vele di Scampia
La vela è da sempre un simbolo di libertà. Le Vele di Scampia sono invece il simbolo di miserie, soprusi e degrado. Le Vele di Scampia sono complessi residenziali costruiti nell’omonimo quartiere della città di Napoli tra il 1962 e il 1975 e sono così definite, per la loro forma triangolare che ricorda appunto l’aspetto di una vela, larga alla base e che restringe via via verso l’alto.
Le 7 vele di Scampia, furono costruite a seguito della legge 167 del 1962, nell’ambito di un progetto abitativo, sulla carta di larghe vedute, che prevedeva anche uno sviluppo della città di Napoli nella zona est, ossia Ponticelli.
Il progettista, l’architetto Franz Di Salvo, nell’ottica di una nuova maniera di pensare la residenza sociale, si ispirò ai princìpi delle unitès d’habitations di Le Corbusier e alle strutture “a cavalletto” già proposte da Kenzo Tange e più in generale, ai modelli macrostrutturali.
Un progetto avveniristico, quello delle Vele, contraddistinto dall’accostamento di due strutture inclinate, separate da un grande spazio vuoto centrale, attraversato da lunghi ballatoi sospesi, ad una altezza intermedia rispetto all’ingresso degli alloggi di fronte.
Le Vele, secondo le intenzioni, avrebbero dovuto dare una risposta alle richieste di alloggi decorosi da parte delle popolazioni meno abbienti. Centinaia di famiglie avrebbero dovuto trovare qui una dimora stabile, nell’integrazione di una nuova comunità. Erano previsti aree verdi, centri sociali, spazi di gioco per i bambini ed altre attrezzature a disposizione della collettività, ma l’idea restò sulla carta, determinando attraverso la deprivazione di un nucleo di socializzazione, una tra le cause del fallimento, che ha trasformato il sogno in un ghetto miserrimo.
Si pensava ad una nuova città modello. Ne è scaturito l’inferno. Le Vele furono prese d’assalto dai senzatetto, in particolare negli anni ’80 a seguito del terremoto, che portò molte famiglie ad occupare, per lo più abusivamente, gli alloggi. Si concentrarono nuclei familiari, con le loro esigenze di crearsi un futuro, consegnate in molti casi nelle mani dell’illegalità e della criminalità camorristica. Per anni, nel quartiere di Scampia, è mancata la presenza dello Stato. Il primo commissariato di Polizia fu insediato alla fine degli anni ’80, quindici anni dopo la consegna degli alloggi, trovandosi così di fatto di fronte alla diffusione incontrastata della delinquenza. E ad oggi Le Vele sono conosciute nel mondo come il bazar dello spaccio di droga.
Nevio Casadio ha portato le telecamere tra i ballatoi, le scale e gli appartamenti delle Vele, alla ricerca di segni di speranza.
Ha incontrato uomini famiglie in cerca di riscatto. Filippo è uscito dal carcere, oggi non delinque più e si è “appoggiato a persone sane della parrocchia” e le suore lo vanno a trovare. Filippo lavora abusivamente accompagnando le persone con la macchina di qua e di là e la sua fedina penale sporca gli impedisce di chiedere un lavoro regolare. Ernesto, anch’egli disoccupato, dice che, se avesse avuto un lavoro, non si sarebbe ridotto ad occupare una Vela. Chiede una mano per sottrarre i propri figli ad un futuro negato.
Contro l’illegalità, contro la camorra, un ragazzo di Scampia ha fondato una band per coniugare musica ed impegno sociale. Ha chiamato la band, ‘A67, rievocando la legge 167 del 1962 che di fatto partorì nel bene e nel male il quartiere Scampia. “Cerchiamo di far emergere la vitalità -dice- tutto ciò che esiste e che stenta ad emergere attraverso i media del nostro quartiere e della nostra città”.
Daniele e suoi ‘A67 si esibiscono in un loro pezzo, “Naples Power”, e le note segnano il passo ad un ragazzo che pesta duro contro i soprusi e l’illegalità.
Ciro Corona è presidente dell’associazione (R)esitenza ed è responsabile dello Sportello anticamorra di Scampia, uno sportello che raccoglie le denunce di cittadini esasperati dall’oppressione della camorra. “Certo – ribadisce Corona – Scampia è per antonomasia il quartiere della Camorra, la capitale europea delle piazze di spaccio, della droga, è per molti ancora considerato il quartiere simbolo delle periferie, ma tutto questo ha un perché. Scampia è un quartiere di 80 mila abitanti, senza luoghi di ritrovo, senza punti di aggregazione, senza piazze, non ci sono teatri, non ci sono cinema, non ci sono biblioteche; è il quartiere col 75% di disoccupazione giovanile; il quartiere capitale d’Europa per abbandono ed evasione scolastica. Capiamo in tutto questo come la camorra sia riuscita ad amalgamarsi perfettamente col tessuto sociale. Ma i tempi stanno cambiando” afferma, sempre più convinto, alla fine.
I tempi stanno cambiando. “Scampia è definita la più grande piazza di spaccio europea..: quest’etichetta oggi non è più vera perché lo spaccio a Scampia, che pure non è vinto, che pure persiste in alcune sacche del quartiere, è molto ridimensionato” dice il dirigente del commissariato della Polizia di Stato di Scampia. Michele Maria Spina. Ora dopo le incursioni martellanti di Spina, dei suoi agenti e della azione congiunta dei cittadini perbene di Scampia, riuniti in associazioni varie, le cose stanno cambiando.
Le telecamere seguono gli agenti del commissariato di Scampia, in un blitz tra le Vele. L’inseguimento ad uno spacciatore in fuga è senza respiro. Come le sequenze raccolte da una telecamera nascosta dai poliziotti in un luogo dello spaccio, oppure le sequenze che ritraggono l’ultimo disperato ragazzo in preda all’eroina, tra gli androni delle Vele.
A Napoli la raccolta differenziata, oggi diffusa a macchia di leopardo, trova conferma e conforto nel quartiere di Scampia, dove si parla di stime tra il 60 e 70 %.
A Scampia c’è anche la questione irrisolta del campo rom. Qui, alla periferia di Napoli, se ne concentrano oltre 3000, asserragliati in un campo fatiscente, circondato da una enorme discarica abusiva.
Nel centro del Scampia, da anni si esprimono le persone riunite nell’associazione Gridas, il gruppo del risveglio dal sonno. Qui si fa arte, si dipinge, si fa musica e teatro, si organizzano feste ed eventi, ma soprattutto è il luogo dell’incontro e dello scambio di parole. La responsabile è una signora agguerrita, Mirella La Magna. “Occorre che la legalità parta dall’interno. Noi siamo Gridas, il gruppo del risveglio delle coscienze. Quando le persone acquistano consapevolezza di quelli che sono i loro diritti, ma anche i loro doveri, c’è speranza che la situazione cambi; io dico sempre Rivoluzione Copernicana, cioè un cambiamento totale che poi ti porta a una serie di vantaggi su tutta la linea. Noi siamo qua da più di trent’anni, la nostra funzione è quella di indicare un altro modo di vivere”.
Il film, al termine del racconto. ripropone gli spazzini di Napoli nel corso del lavoro. Di notte e di giorno. Di notte, con gli echi dei suoni della notte. E di giorno, rintracciando uno spazzino che ha fatto del proprio lavoro una preghiera al Signore. “Dio mi guida. Nella Bibbia c’è scritto: ‘Mettete in pratica ciò che dice il Signore”. E questa è un’ubbidienza a Dio, perché fare bene il lavoro è dare testimonianza di Dio, farlo con amore, con onestà’”.
Conclude il film Peppe Barra. L’attore napoletano recita i versi della poesia ‘A livella di Totò.
Qui si narra di uno spazzino, Gennarino Esposito, sepolto indegnamente accanto alla tomba lussuosa del “nobile marchese signore di Rovigo e di Belluno, ardimentoso eroe di mille imprese morto l’11 maggio del ’31”. Il nobile marchese, indignato di fronte a tale oltraggio, accusa il povero Gennaro di aver perso il senso e la misura: “la Vostra salma andava, sì, inumata; ma seppellita nella spazzatura!” E Gennarino Esposito, ‘o scupatore, il netturbino, perdendo la pazienza replica al nobile marchese che, indipendentemente da ciò che si era in vita, col sopraggiungere della morte si diventa tutti uguali: “T”o vvuo’ mettere ‘ncapo… ‘int’a cervella che staje malato ancora è fantasia?… ‘A morte ‘o ssaje ched”e?… è una livella”.
Un uomo chiamato a fare lo spazzino dovrebbe spazzare le strade così come Michelangelo dipingeva, o Beethoven componeva, o Shakespeare scriveva poesie.
Egli dovrebbe spazzare le strade così bene al punto che tutti gli ospiti del cielo e della terra si fermerebbero per dire che qui ha vissuto un grande spazzino che faceva bene il suo lavoro.
Martin Luther King.