Uomo ironico, disincantato e puntiglioso, fedele ad un etica che fonde il rispetto della legge con una profonda umanità. La storia del poliziotto di origini campane che creò, nella Milano degli anni ’50 e ‘60, la Squadra Mobile e dichiarò guerra alla malavita lombarda. Con Sergio Assisi, Anna Safroncik, Stefano Dionisi e Giorgia Surina. Firma la regia Fabrizio Costa. Una serie tv in sei puntate, in onda da giovedì 6 settembre in prima serata su Rai1.
Il sipario della nuova stagione fiction si riapre con “Il Commissario Nardone”, un’appassionante serie in 6 puntate dedicata alla figura di un uomo leggendario, di origini campane, che nel dopoguerra, in una Milano attanagliata dalla violenza e in preda alla criminalità organizzata, “inventò” la Squadra Mobile. Un progetto che nasce dalla figura, realmente esistita, del commissario Mario Nardone e sviluppa una rara commistione tra fiction e realtà.
Una storia italiana che narra le vicende di un gruppo di personaggi incredibilmente reali e attraversa un arco narrativo-temporale molto ampio, dall’immediato dopoguerra alla fine degli anni ’50, dando ai protagonisti la possibilità di affrontare un profondo percorso di crescita e sviluppo. Sergio Assisi dà vita e volto al commissario Mario Nardone, Anna Safroncik è Flò, una giovane e attraente prostituta, Stefano Dionisi veste i panni di Sergio Suderghi, un poliziotto temerario e cinico, e Giorgia Surina è Eliana, una ragazza dolce e determinata, figlia del Nord, che riesce a conquistare il cuore del meridionalissimo commissario Nardone. Una serie coprodotta da Rai Fiction e Dap Italy, per la regia di Fabrizio Costa. Firmano la sceneggiatura Andrea Purgatori, Marcello Olivieri, Silvia Napolitano e Stefano Voltaggio. Primo appuntamento giovedì 6 settembre, alle 21.10 su Rai1. La serie racconta la storia di un uomo decisamente fuori dal comune che con le sue idee all’avanguardia e, per l’epoca, a dir poco ardite, cambiò per sempre il volto della Polizia di Stato mettendo a punto un nuovo e rivoluzionario metodo di condurre le indagini.
Nato in provincia di Avellino, Nardone viene trasferito, ancora trentenne, dopo uno scontro insanabile con i suoi superiori, dalla Questura di Parma a quella di Milano. Sono gli anni tumultuosi che seguono il secondo conflitto mondiale. E Milano, in quel periodo, rappresenta, forse più di ogni altra città italiana, l’emblema di una nazione duramente colpita dalla guerra con le sue profonde e evidenti ferite e il grande desiderio di rinascita, di riscatto. E’ il difficile periodo che segna il passaggio dalla fame al benessere. Nardone, incarnazione più vera dell’uomo del Sud, ironico, disincantato, puntiglioso fino allo sfinimento, innamorato della sua famiglia e amante della buona cucina, si ritrova, suo malgrado, tra le nebbie di una città fredda e apparentemente chiusa e dura. Senza mai perdersi d’animo, con grande senso del dovere e dello Stato il commissario Nardone riesce, in breve tempo, a comprendere i ritmi e le dinamiche di quella città che, pur non essendo sua, finirà comunque per appartenergli. Il clima è difficile, ma stimolante. E’ il momento più propizio per spingersi a dare il massimo di se stessi. Il suo entusiasmo è contagioso. Il volto della Questura, fino ad allora ingessato e relegato soprattutto al lavoro di scrivania, viene stravolto dal ciclone Nardone che scova, tra il personale in servizio, i poliziotti migliori e li valorizza: nasce la Squadra Mobile meneghina, prototipo della polizia moderna. Il commissario comincia a portare i suoi uomini a contatto con la gente, per strada, in pattuglia. Comprende l’importanza di conoscere le dinamiche interne dei malavitosi e così prepara i suoi uomini ad infiltrarsi tra le maglie della criminalità organizzata. Nardone dimostra anche una grande capacità di leggere nel cuore delle persone: riesce a creare una fitta e proficua rete di informatori e confidenti e a costruire rapporti di fiducia anche con i suoi “nemici”. E’ un uomo coraggioso, pieno di fantasia e, soprattutto, innamorato del proprio lavoro.
Qualità sotto gli occhi di tutti che gli conferiscono, in Questura e fuori, un’autorevolezza indiscussa. E’ così, con il suo grande carisma, che riesce a motivare e a rendere combattivi i suoi uomini, anche quelli più sottovalutati e sviliti come Rizzo, Suderghi, Muraro e Spitz. La sua squadra, in poco tempo, diventerà leggendaria. Sempre a caccia di delinquenti, tra storie d’amore finite in tragedia, rapine, omicidi e delitti più o meno efferati, senza mai guardare l’orologio, sempre in servizio. E’ il periodo in cui l’Italia impara ad appassionarsi a quella che tutti oggi conosciamo come “cronaca nera”. Grazie al contributo di un giovane foto reporter, Trapani, il lavoro della squadra di Nardone sale agli onori della cronaca come esempio di grande efficienza e capacità. E’ il momento in cui comincia a dilagare anche la Malavita organizzata che, ben rifornita di armi, trova terreno fertile in un contesto sociale in evidente difficoltà. Nelle sue trame finiscono tutta una serie di personaggi che, dalla piccola criminalità, decidono di sposare il male come scelta di vita. I colpi messi a segno sono sempre più numerosi, sempre più scientifici, audaci e cruenti. Le fughe dagli uomini dalle forze dell’ordine sempre più improbabili e spericolate. Tra i tanti balordi si fa strada Bosso, un killer spietato e abile organizzatore di colpi al limite dell’incredibile. E’ lui l’alter ego con il quale Nardone è costretto a giocare la sua partita, a confrontarsi. Il commissario è consapevole che perdere contro Bosso significa condannare Milano ad un futuro nero e di violenze. Ma per Nardone la vita non è solo lavoro. A Milano troverà anche l’amore vero, quello di Eliana, una ragazza indipendente e determinata conosciuta durate una delicata indagine. Tra i due nascerà una storia sentimentale profonda e duratura suggellata prima dal matrimonio e poi dalla nascita di due figli.
La trama delle prime due serate
Prima serata – Primo episodio: PENICILLINA MORTALE
Collecchio, provincia di Parma, 1946. Un reduce, ex impiegato comunale, ha preso in ostaggio il sindaco. Gli punta al collo una pistola. Minaccia di ucciderlo se non riavrà il posto di lavoro perduto durante gli anni di guerra e prigionia. Il commissario che gestisce l’emergenza ha chiamato un tiratore scelto. Il vicecommissario Nardone vuole provare a risolvere il caso pacificamente. Il superiore, scettico, gli concede pochi minuti. Nardone si avvicina disarmato e con le sue parole conquista la fiducia del reduce. Ne ascolta la storia. La frustrazione. La rabbia. Lo comprende. Con umanità cerca di convincerlo a desistere. Lo rassicura. Il reduce posa l’arma, si arrende. Nardone segnala che è tutto a posto ma in quell’istante il tiratore scelto spara. Il reduce cade ferito. Nardone è attonito. Poi esplode la sua rabbia, si scaglia sul superiore che ha dato l’ordine, colpendolo al volto.
Qualche tempo dopo Nardone arriva a Milano. A causa del suo gesto è stato punito e trasferito.
La Milanodel dopoguerra è pervasa di povertà. Molti sono malati e non possono permettersi le cure adeguate. Il mercato nero funziona ancora a pieno regime e per trovare alcune medicine essenziali, come la penicillina, bisogna pagare prezzi molto alti.
Al suo primo giorno di lavoro in Questura, Nardone deve fare un sopralluogo in casa di Flò, la prostituta più ambita di Milano, perché un suo cliente è morto d’infarto. Si tratta di un avvocato parecchio in vista. Flò è bella e spavalda e tiene testa a Nardone che la interroga, senza preoccuparsi del fatto che potrebbe essere arrestata perché alle prostitute non è concesso di esercitare al di fuori delle case chiuse. Il commissario ne è affascinato. In una tasca del morto, Nardone scopre una fialetta di vetro che si è rotta nella caduta e la invia subito alla Scientifica.
Spitz analizza il contenuto della fiala e scopre che è penicillina pura. E dall’autopsia risulta che l’avvocato non aveva alcun disturbo, quindi non era per uso personale. Nardone è colpito dal lavoro rapido e meticoloso di Spitz. Il Questore Ossola sollecita una rapida archiviazione del caso: l’avvocato aveva famiglia, faceva parte della Milano bene e si rischia uno scandalo. Nardone lo rassicura ma continua a indagare, anche perché Muraro scopre che qualche mese prima il titolare di un deposito di medicinali aveva denunciato il furto di una grossa partita di penicillina.
Al deposito Nardone conosce Eliana, che si occupa dell’amministrazione. È lei a fargli notare che la fiala trovata in tasca al morto faceva parte di quella partita rubata. Controllando il magazzino, Nardone trova un’anomalia nel rapporto fatto dai poliziotti in seguito alla denuncia. Chiede dettagli ai due colleghi, che però minimizzano: di furti ce ne sono a centinaia e capita di sbagliarsi nel redigere un rapporto. Nardone non ci vede chiaro, invece a Muraro non va giù che il commissario abbia messo in dubbio la parola dei suoi colleghi: ormai si è convinto che voglia fare carriera alle loro spalle.
Nardone viene convocato dal Questore Ossola, seccatissimo: il funzionario da cui dipendono i poliziotti si è lamentato. Nardone solleva Muraro da ogni responsabilità e dice che ha fatto tutto da solo, ma non era niente più che una chiacchierata per avere qualche informazione. Si fa dare da Eliana la lista degli impiegati del deposito. Emerge un cognome che è lo stesso di uno dei poliziotti. Impiegato e poliziotto sono cugini. Forse non vuole dire niente, o forse molto. Con Muraro che rema contro, per indagare a fondo, al commissario serve un altro collaboratore. La scelta cade su Rizzo, di cui apprezza la memoria eccezionale e la conoscenza dettagliata della città.
Cominciano i pedinamenti e si ritrovano nel bar di Cangemi, dove i due poliziotti si incontrano con l’impiegato del deposito. Nardone minaccia Cangemi di chiudere il locale se non collaborerà. Cangemi racconta di aver sentito i tre che parlavano di un magazzino… Dopo un appostamento, Nardone, Muraro e Rizzo fanno un’irruzione trovando non solo penicillina ma molta altra merce destinata al mercato nero. I poliziotti tentano la fuga, ma vengono acciuffati. L’arresto viene immortalato dall’obiettivo di Trapani, fotografo della Notte in cerca di scoop, arrivato tempestivamente sul posto grazie ai suoi contatti. Nardone non gradisce ma sa che ognuno deve fare il proprio mestiere.
In Questura, i poliziotti confessano di essere i responsabili dei furti di penicillina e di lavorare per l’avvocato morto, con cui facevano affari per conto di Barone, un famoso gioielliere che secondo Flò ha le mani su tutti i traffici di usura, riciclaggio e mercato nero. Ma trovare prove contro di lui è impossibile, è abilissimo a rimanere nell’ombra. Nardone non è più visto di buon occhio in Questura, a causa degli arresti dei colleghi e, quando chiede l’autorizzazione per agire contro Barone, Ossola chiude il caso d’ufficio. Si è già sollevata fin troppa polvere e la stampa ci ha già ricamato fin troppo sopra sbattendo in prima pagina la morte dell’avvocato e illazioni che gettano ombre e discrediti sulla Polizia. Da ora in poi, Nardone dovrà occuparsi solo di furti.
Conosciuta per via dell’indagine, Eliana ha però colpito il commissario al punto da inviarle dei fiori per ringraziarla dell’aiuto e invitarla a cena fuori. Una serata insieme e Nardone è già cotto di lei!
Nardone vuole realizzare l’idea che ha in testa: mettere insieme una squadra di uomini che possano coprire ogni settore e specializzazione. I migliori in ogni campo. Uno che sappia guidare come un pilota; un altro capace di sparare con precisione; uno che conosca a menadito la città; uno che sappia analizzare al meglio i reperti trovati sui luoghi dei delitti… e dovranno avere il coraggio di seguirlo sempre e dovunque, anche e soprattutto senza l’autorizzazione dei superiori. Muraro gli dice che lui i migliori li conosce, ma sono i più emarginati. Nardone sorride soddisfatto: meglio, molto meglio, avranno più voglia di riscatto!
Prima serata – Secondo episodio:LA BANDA DOVUNQUE
Una feroce rapina in banca a Cinisello Balsamo. Una delle tante messe a segno dalla famigerata Banda Dovunque, che cambia continuamente zona per spiazzare la polizia e usa auto rubate di grossa cilindrata. Ma stavolta c’è scappato il ferito, una guardia giurata. Tanto per cambiare, Trapani arriva prima della Polizia e Nardone non capisce come sia possibile anche se inizia a sospettare che le soffiate gli arrivino dall’interno della Questura.
La pressione dell’opinione pubblica è forte, la stampa alimenta l’idea chela Banda Dovunquesia imprendibile e si faccia beffe della legge. Nardone vorrebbe indagare, ma Ossola è fermo: ha detto che deve occuparsi solo di furti. Nardone lo prende in parola, e comincia a indagare sulle auto di grossa cilindrata utilizzate per i colpi.
Nardone e i suoi (a Muraro e Rizzo ora si aggiunge in pianta stabile anche Spitz, l’ebreo della Scientifica) scoprono che i furti d’auto sono avvenuti una settimana prima di ogni colpo. In questo lasso di tempo,la Bandadeve tenere le auto da qualche parte. Quella usata a Cinisello viene trovata abbandonata, senza targhe, col numero di matricola limato. Dentro, Nardone trova una manciata di chicchi di riso. Un buon indizio. Ma non fa in tempo ad approfondire le indagini che la competenza passa ai colleghi che si occupano delle rapine.
Eludendo gli ordini ricevuti, Nardone comincia lo stesso a indagare sulla Banda Dovunque, ma ora ha bisogno di un uomo d’azione. Ha adocchiato Suderghi. Muraro dice che sa guidare e sparare ma non è affidabile: è matto, fascista, beve e non c’è una sera in cui non finisca al bordello. Molto bene, ragiona Nardone: è esattamente il tipo che fa al caso loro. Va a cercarlo al poligono di tiro, dove Suderghi non sbaglia un centro, gli accenna l’idea, ma lui rifiuta.
Se nell’auto rubata c’era del riso, è ovvio che devono cercare un magazzino o una fattoria vicina a una risaia. Ma Spitz smonta questa ipotesi perché sui copertoni non ci sono tracce di terra o fango, quindi l’auto deve venire da un garage in città. Muraro fa una lista dei garagisti con precedenti penali. In pochi giorni, li interrogano tutti e perquisiscono i garage alla ricerca di qualche indizio che non trovano. Però si scopre che uno di loro si è sposato di recente e ha usato l’auto rubata per il matrimonio: i chicchi lanciati dagli invitati a fine della cerimonia sono rimasti nell’abitacolo. L’uomo confessa che non sa niente della rapina: lui si è limitato a nascondere le auto rubate.
Scatta un blitz che permette a Nardone e alla squadra di sgominare l’intera Banda Dovunque, arrestando nello stesso momento tutti i componenti, in luoghi diversi. Tutti, tranne quello che si occupava di rubare le auto e di tenere il contatto col garagista che le nascondeva. E’ un giovane, si chiama Luigi Bosso.
La cosa strana è che a difenderlo all’ultimo processo era stato l’avvocato morto di infarto nella puntata precedente, che guarda caso era anche il legale di Barone. Un avvocato del genere per un ladro di auto?
Nardone è convinto che acciuffando Bosso può arrivare a Barone. Grazie alle informazioni di Flò, si scopre che Bosso ama la bella vita. Qualche appostamento nei night milanesi e il bersaglio viene individuato. Nel frattempo, Suderghi fa marcia indietro e decide di entrare in squadra. Tendono un agguato a Bosso all’uscita di un locale ma lui se ne accorge in tempo e riesce a scappare in auto. Comincia un inseguimento, ma l’auto di Bosso è più potente di quella a disposizione della squadra. Non fosse per l’abilità da pilota di Suderghi, il bandito riuscirebbe a farla franca. Invece Nardone, con Suderghi alla guida, riesce a mandarlo fuori strada e catturarlo.
In ospedale, Nardone convince Bosso a testimoniare contro Barone in cambio di un bello sconto di pena. Bosso accetta. Nardone è convinto di avere Barone in pugno, ma il ladro scappa dall’ospedale beffando i due agenti di guardia. Rabbioso, Nardone affronta Barone nella gioielleria e gli giura che lo incastrerà. Barone alza il telefono, chiama il Questore e gli racconta che ha appena conosciuto il commissario e gli ha fatto un’ottima impressione. Poi, sornione e beffardo, dice a Nardone che conosce gente importante, quindi stia bene attento a mettersi contro di lui…
Seconda serata – Terzo episodio: TRADIMENTI
Il cadavere di una donna è stato ritrovato nella sua auto, in un luogo dove solitamente si appartano le coppiette. Sembra la vittima di una rapina finita male. Dai documenti risulta essere Sofia Piacentini, avvenente moglie di uno stimato avvocato.
Seppure a malincuore, Ossola affida il caso a Nardone, che avendo risolto il caso della Banda Dovunque ha di nuovo accesso alle indagini più importanti.
Il marito della vittima è il primo ad essere interrogato. Al momento dell’uccisione si trovava a Bergamo per lavoro e si rimprovera aspramente di aver lasciato sola la moglie, sebbene Sofia fosse di carattere indipendente.
Parallelamente all’indagine sulla morte di Sofia Piacentini, Nardone continua a tenere sotto controllo Barone, nella speranza di trovare un modo per incastrarlo.
Forse per incriminare il gioielliere può servirsi delle testimonianze delle vittime del suo giro d’usura. Un commerciante, infatti, si è suicidato a causa dei debiti e la vedova potrebbe aiutare Nardone nell’indagine.
Rizzo e Muraro hanno raccolto informazioni sull’omicidio e hanno scoperto che nelle ultime settimane ci sono state altre rapine, con modalità simili, sempre ai danni di coppiette. Nardone predispone degli appostamenti notturni.
Insieme a Suderghi, Muraro e Rizzo si apparterà in diversi punti. Per non destare sospetti hanno coinvolto delle prostitute. Nardone ha convinto anche Flò, che farà la parte dell’innamorata insieme al rude Suderghi.
Dopo un paio di appostamenti, il piano ha successo. Una coppia di balordi tenta di rapinare Flò e Suderghi. I rapinatori finiscono ammanettati, confessano le rapine precedenti ma per quella ai danni di Sofia Piacentini si dichiarano innocenti. Sono uomini d’onore: ladri, ma non assassini. Hanno anche modo di dimostrarlo e Nardone decide di credergli.
Mentre i suoi interrogano amici e parenti della vittima, Nardone incontra la vedova del commerciante che potrebbe denunciare Barone. La donna ha paura. Non vuole parlare. Nardone la convince. Le strappa i nomi di altri negozianti indebitati con Barone. Avevano promesso di spalleggiare suo marito. Ma hanno tutti cambiato idea dopo il suo suicidio. Nardone scopre che Barone non pretende solo gli interessi passivi. Impone ai suoi debitori di comprare a prezzi altissimi le merci da lui ricettate. Il traffico viene gestito telefonicamente. Senza contatti diretti.
Muraro vorrebbe fare irruzione dai negozianti ricattati e sequestrare la merce rubata. Ma il commissario è contrario. Non gli interessa arrestarli. Devono arrivare all’intermediario. Sarà lui che li porterà fino a Barone. E per riuscirci hanno un solo strumento. Scegliere un commerciante tra quelli indicati dalla vedova, mettergli il telefono sotto controllo e aspettare.
Visto che ad uccidere Sofia Piacentini non sono stati i rapinatori, vuol dire che la squadra deve cercare altrove il suo assassino.
Controllando l’alibi del marito della vittima, Nardone scopre che a testimoniare per l’avvocato è un suo ex-assistito, che quindi avrebbe tutte le ragioni per coprire Piacentini.
Ma non è così: l’avvocato Piacentini è davvero innocente, lo dimostra il suo amore per la moglie e la sincerità del suo sguardo.
Nardone capisce però che l’assassino di Sofia, per copiare tanto bene il modus operandi dei rapinatori delle coppiette, deve aver avuto modo di vederli in azione. Quindi in precedenza, il colpevole deve essere stato a sua volta rapinato!
Spulciando le denunce dei furti, Nardone e i suoi uomini risalgono ad uno dei praticanti che esercitano nello studio legale di Piacentini, un tale Paolo Raimondi.
Interrogato da Nardone, Paolo crolla. Confessa di avere avuto una relazione con la moglie del suo capo e di essersi spaventato quando Sofia, evidentemente pazza d’amore, aveva annunciato di voler lasciare il marito per stare con lui. Per Paolo sarebbe stata la fine della carriera, il suo principale si sarebbe vendicato sicuramente impedendogli di esercitare in tutta Milano.
Il caso di omicidio è risolto. E Nardone riceve un’altra buona notizia: le intercettazioni hanno funzionato. Dalle telefonate appare chiaro che a minacciare i negozianti è il latitante Bosso.
Nella telefonata controllata, infatti, Bosso annuncia che lo scambio tra soldi e merce si effettuerà da una certa Angelique. I nostri hanno appena il tempo di ascoltare queste informazioni, quando improvvisamente cade la linea: la causa dell’interruzione è dovuta alla morte del tecnico STIPEL, che si trovava in cima ad un palo del telefono per rintracciare il luogo di chiamata.
Seconda serata – Quarto episodio: IL FALSARIO
Il tecnico della compagnia telefonica che eseguiva le intercettazioni di Bosso per conto di Nardone si chiamava Giorgio Pandolfini. Anche se la sua morte sembra un incidente, secondo il commissario è evidente che Bosso si era accorto di essere controllato e ha fatto uccidere l’unico in grado di scoprire il suo nascondiglio.
La morte di questo innocente è una ragione in più per Nardone per voler assicurare il malvivente alla giustizia.
Per fortuna, prima di morire il tecnico era riuscito a circoscrivere la zona da cui proveniva la chiamata: Trezzano sul Naviglio.
E da lì iniziano le indagini di Nardone: quante Angelique possono esserci, in un paesino alle porte di Milano?
Mentre i suoi uomini battono la zona di Trezzano, Nardone è alle prese con un nuovo crimine, a Milano.
L’assassinio di uno stimato incisore, tale Carlo Torcia, è la scena del crimine ideale per le doti investigative dello scientifico Spitz.
Interrogate la vicina di casa e la cameriera, Nardone si trova con poche informazioni utili a risolvere il caso: un uomo anziano e solitario, dalla vita ritirata e che soffriva di artrite, a giudicare dalle medicine trovate in bagno.
Nessun segno di scasso, Torcia deve aver aperto la porta al suo assassino. Unico particolare fuori contesto: un mazzo di chiavi che sembra non appartenere alla vittima. Nel palazzo nessuno sembra aver visto né sentito nulla. Neanche il dirimpettaio, il professor Alberto Volterra, ha sentito lo sparo.
Nardone è convinto che Volterra nasconda qualcosa e non sia stato sincero conla Poliziama Spitz difende il professore a spada tratta. Volterra è un sopravvissuto dei campi di concentramento e per questo gode della stima imperitura dell’altrimenti taciturno e timido ebreo Spitz.
Visto che non sembra spuntare nulla di interessante, Nardone decide di scavare nel passato di Torcia e inizia interrogando la sua ex-cameriera, licenziatasi appena tre mesi prima della morte del principale. Mirella Rubattino, questo il suo nome, dichiara di essersi dimessa dal lavoro per tornare al paesino d’origine con il figlio Lucio. All’ultimo momento il ragazzo aveva cambiato idea e deciso di restare a Milano, ma ormai Torcia aveva assunto una nuova cameriera e Mirella non aveva potuto riottenere il suo posto di lavoro.
A Trezzano i telefoni sono pochi, e nessuno di questi sembra ricondurre al nascondiglio di Bosso. Muraro e Rizzo tengono gli occhi aperti per la misteriosa Angelique.
Il delitto di Torcia sembra essere senza soluzione, ma un’intuizione di Nardone da una svolta all’indagine: confrontando l’appartamento della vittima con quello dei vicini, il commissario si accorge di un finto muro. E della camera segreta che nasconde.
Nella camera segreta, Torcia impiegava la sua abilità di incisore per falsificare passaporti e banconote. Questa attività illegale offre a Nardone un ottimo movente, finalmente ha una pista su cui indagare.
I sospetti cadono sul professor Volterra. L’alibi che ha fornito non è stato confermato e, come sopravvissuto ai campi di concentramento, aveva una questione aperta con il vicino di casa che con i suoi documenti contraffatti aveva permesso la fuga di molti fascisti, una volta finita la guerra.
Spitz non può credere che Volterra sia colpevole ed è lieto di avere Nardone al suo fianco. Ma Ossola è invece convinto della colpevolezza del professore e i nostri dovranno usare tutta la loro arguzia per scagionare Volterra.
Seguendo l’unico indizio che non incrimina il professore, ossia il mazzo di chiavi trovate a casa di Torcia, Nardone scopre che il colpevole è in realtà il figlio della cameriera Mirella.
Per coprire le pesanti perdite subite da Lucio nel gioco d’azzardo, Mirella aveva preso a ricattare Torcia minacciandolo di denunciare la sua attività di falsario. La sera dell’omicidio Lucio aveva accompagnato la madre a riscuotere e si era trovato davanti un Torcia non più disposto a pagare. Alla lite era seguita una colluttazione e infine l’omicidio. Spaventati da ciò che era successo, Mirella e Lucio erano poi fuggiti, dimenticando lì le chiavi di casa loro.
Intanto per un colpo di fortuna, Rizzo e Muraro vengono a capo dell’enigma di Angelique: non è una donna, si tratta del nome di una barca…